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Punteggio del vino, the story so far

Cento, cento, cento, intonava in coro il pubblico di “Ok il Prezzo è Giusto”, in cui l’Iva nazionale accompagnava i vari concorrenti al giro della ruota della fortuna. Le stesse voci spesso è probabile che risuonino nelle menti di tanti critici del vino che elargiscono il punteggio perfetto a numerosi vini, di vari angoli del mondo.
C’era una volta Robert Parker ed il suo Wine Advocate che con il punteggio del vino espresso in centesimi ha rivoluzionato il marketing enoico di tante etichette. Il primo vero influencer quando ancora questo concetto non era di massa come oggi. Il suo giudizio aveva ed ha il potere di far lievitare il prezzo di una bottiglia.


Effettivamente un punteggio, così come il voto a scuola, rende in maniera estremamente sintetica e quindi alla portata di tutti, una scala di qualità. Davanti a migliaia di etichette il consumatore ha la necessità di avere una bussola in mano, rapida, precisa, per orientare le scelte.
Assegnare un punteggio può avere anche la nobile funzione di far conoscere alla massa vini fino ad allora sconosciuti ai più, fatto la cui patologia è rappresentata dall’aver fatto nascere oggetti misteriosi, di nicchia, quasi fiabeschi, la cui scarsa conoscenza, la novità e la rarità unita ai 100 centesimi, ha creato una corsa all’acquisto facendo crescere il prezzo a dismisura, si veda il tipico esempio di Screaming Eagle.


Oggi il punteggio quindi è diventato un indicatore sintetico per muoversi nella giungla del mercato, un faro per il consumatore, che in un freddo numero ha espressa tutta la qualità di una bottiglia, ovviamente solo quando questo punteggio è assegnato da associazioni qualificate come l’Ais o da guru come James Suckling, Robert Parker, Wine Spectator e Decanter su tutti.A mio avviso non deve mai però esser perso di vista ciò che etimologicamente un punteggio è, ovvero una misurazione non uno strumento di marketing. Tutti noi abbiamo avuto l’esperienza della scuola, i giudizi buoni andavano da 7 a 9, visto che il 10 era un’entità astratta, la perfezione, che per definizione non esiste. Ricordo con affetto la mia mitica professoressa d’inglese al Liceo Scientifico, la quale aveva l’usanza di assegnare 7 ad un compito senza errori, “8 l’ho dato solo una volta ad un madrelingua, 9 non so neppure come è scritto”, questo uno dei suoi commenti più simpatici. Pur senza tale rigore e severità, onestamente quando ad un vino appena uscito sul mercato viene assegnato un 100/100 mi viene da storcere il naso. Una bottiglia quindi che nasce già perfetta, ai massimi livelli che anche dopo qualche anno nel vetro non migliorerà neppure di 1 punticino. Immagino i grandi Barolo, Barbaresco, Brunello, Chianti Classico, Bolgheri che già da giovincelli esprimono la loro massima rappresentazione. Per me è una forzatura, un voler sottolineare che quello è nato come un grande vino e tale lo rimarrà nei secoli dei secoli; ok, lo comprendo ma il punteggio deve rimanere in dei binari di credibilità e di percorsi logici utilizzati per arrivarvi.
La risoluzione è dietro l’angolo, aumentare la propria cultura enologica con un bel corso, allenare i sensi e fidarsi del palato, soltanto allora saremo “liberi appassionati in libero vino”, così sicuri di noi stessi da poter provocatoriamente andare oltre e assegnare dei 101!

 

Nota finale: i voti a cui siamo sempre stati abituati fin da piccoli sono quelli della scuola, perché non riproporre lo stesso metro anche per il vino?

 

10 e lode: eccellente

10: ottimo

9: distinto

8: buono

7: discreto

6: sufficiente

Poi c’è lo straordinario: il fuori categoria, la specialità, l’acme, l’emozionante.

 

Valentino Tesi

(giugno 2023)

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