Capita spesso, in alcune denominazioni d’origine italiane, che l’utilizzo consentito di più nomi crei confusione e disorientamento nel consumatore. Anche la doc Marsala, storica, già approvata nel 1969, prevede l’utilizzo della dizione Vino Marsala e soprattutto Vino di Marsala.
Sembrano sottigliezze ma così non è, in questo caso chiamarlo anche vino di Marsala, rende giustizia a una tradizione di un territorio che già preesisteva all’arrivo di John Woodhouse nel 1773, la fortificazione e tutto ciò che ne conseguì.
Ma procediamo con ordine, agosto 2015, le due di pomeriggio, contrada Samperi, Marsala. Dopo un viaggio panoramico caratterizzato dalla presenza di vigneti ad alberello, bagli diroccati e delle tipiche case squadrate della Sicilia Orientale, ocra, costruite con blocchi di tufo, arrivo davanti alla storica azienda Marco De Bartoli. Il termometro dell’auto indica la temperatura di 42 gradi e l’aria è sferzata da un forte vento, tiepido, che diffonde l’aroma del vicino mare.
Ad accogliermi la figlia del grande compianto Marco De Bartoli, Giuseppina, che mi guiderà tra i vigneti di grillo e successivamente nelle cantine.
Dopo un periodo il cui il vino Marsala ha goduto dell’epopea del più grande vino italiano, a metà del XIX secolo, dalle stelle alle stalle ha successivamente rischiato l’estinzione se non fosse stato per la caparbietà di un uomo che fortemente e fermamente ha rispolverato e tenuto in vita la tradizione delle campagne marsalesi, il famoso vino Stravecchio. Ogni contadino in queste contrade agricole, secondo tradizione, conservava in cantina una botte di questo prezioso vino, le cui uve erano principalmente grillo e inzolia. Anno dopo anno, in questa botte, veniva aggiunto il vino nuovo, quello d’annata, che si andava a mescolare al contenuto già esistente. Un metodo soleras “alla marsalese”, qua lo chiamavano perpetuum, nulla avendo a che fare con la tradizione di Jeres. Una botte che poteva contenere, quindi, anche quantità piccolissime di vendemmie di cento anni prima. Un livello che scendeva continuamente a causa del grande caldo, per evaporazione e che quindi affinava in ossidazione, colori bruni, alcol elevato, sentori tostati, essiccati, un vino che sfidava il trascorrere del tempo e che anzi si impreziosiva negli anni. Un fenomeno possibile grazie soprattutto al binomio vitigno-territorio, il grillo, grandissima uva, dotata di elevata acidità, buccia spessa, bassa vigoria e che ha la capacità di ossidarsi velocemente ma in maniera controllata. Poi il terreno, calcarenite, fossili marini, povero, drenante, minerale. Piogge scarse, grande insolazione e venti salmastri. Questa era la ricetta di un vino secolare, del vino tipico dell’agro marsalese.
L’arrivo di Woodhouse e l’idea di aggiungere alcol per il trasporto nelle navi è storia ben conosciuta. Il Marsala però non è un’invenzione, non è un progetto, è una tradizione.
Con l’ausilio della fortificazione selvaggia e grazie al successo che il vino aveva sul mercato, sono stati creati, dal 1950 in poi, prodotti infimi, di scarsissima qualità. È stato privilegiato spesso il catarratto, più produttivo, al grillo, con il risultato di ottenere vini base esili, neutri, di scarsa gradazione e camuffati dalla fortificazione con mosti concentrati. Fino ad arrivare ai recenti anni ’70 e ’80, in cui oltre all’introduzione del famigerato “Marsala all’uovo”, abbiamo assistito allo svilimento più crudo per un vino, la classificazione nel registro UE come ufficiale ingrediente di cucina.
Marco De Bartoli è sempre stato fuori da questa speculazione, ha combattuto con ardore gli interessi economici degli imbottigliatori, ha dichiarato guerra al Consorzio varie volte, fino ad esser stato accusato, per ritorsione, del reato di sofisticazione. Vicenda giuridica “italian style”, per cavilli legali infatti i vini che superano i 16° di alcol, devono essere dichiarati liquorosi, quando in realtà il “Vecchio Samperi”, il Vino di Marsala che Marco produceva, 100% grillo, con tali gradazioni, non riceveva l’aggiunta di neppure una goccia di alcol. Una battaglia durata anni e soltanto negli ultimi anni, la dicitura “liquoroso” è uscita dall’etichetta.
Un breve passaggio in vigna, per ammirare la forza delle piante di grillo, con le foglie arricciate dal vento caldo carico di salsedine. Questo vitigno si è mostrato, nel corso del tempo, straordinario in questo territorio, molto resistente allo stress idrico, poco produttivo e capace di regalare aromi che raccontano la natura marsalese.
La visita della cantina è un percorso emozionale, a cominciare dal materiale di costruzione, il tufo, che assorbe l’umidità il giorno e la rilascia la notte, funzionando come un climatizzatore naturale. La stessa funzione la svolge alle radici delle piante, permettendone la sopravvivenza in una zona arsa dal sole in cui non piove quasi mai. I locali dove sono collocate le grandi botti di quercia in cui riposano Vecchio Samperi e Marsala non sono molto in profondità, qui la temperatura è piuttosto elevata e l’evaporazione del vino è una conseguenza diretta. Gli affinamenti sono in ossidazione controllata, quando i livelli dentro le botti scendono sotto il 60% si provvede al rabbocco con il vino nuovo, rinnovando la tradizione del perpetuum. L’invecchiamento negli anni prosegue con la tecnica “soleras” di Jerez, per arrivare così al termine del percorso di invecchiamento lungo ben 20 anni, al vino di Marsala, al Vecchio Samperi. Un vino che, naturalmente, senza fortificazione, raggiunge i 16,5% vol. di alcol. Oltre a essere imbottigliato singolarmente, viene utilizzato come base per creare i due Marsala Superiore Oro, quindi non usando un vinello debole da 12% vol. di alcol minimo, come permette il disciplinare ma addirittura il Vecchio Samperi.
Oltre alla gamma che riguarda la tradizione marsalese dei vini liquorosi, l’azienda produce anche, sempre con la stessa uva, il grillo, Metodo Classico, bianchi fermi e un bianco macerato in anfora, dimostrando l’incredibile ecletticità e qualità di questo vitigno.
Mi accomodo con Giuseppina davanti a una lunga tavola di legno in una stanza piena di foto di Marco appese alle pareti, si respira la storia. Gli assaggi:
Metodo Classico Terza Via (non dosato, grillo 100%): prima di degustare questo Spumante mi sono chiesto, “come sarà venuto in mente alla famiglia De Bartoli, di produrre un metodo classico a Marsala? Uno dei luoghi più aridi e caldi dello Stivale? Un vino che, è risaputo, necessita di uva a elevata acidità, grandi escursioni, clima fresco. Le mie perplessità sono svanite tutte insieme al primo sorso, un’esplosione di agrumi canditi, chinotto, crema all’arancia, uniti dal filo conduttore di una garbatissima e lieve ossidazione che è il timbro di questo Spumante. Una cremosità avvolgente unita a sensazioni quasi salmastre. Un gusto difficile da scordare. Il segreto, mi racconta Giuseppina, è nel tirage, l’elevata alcolicità del vino base è diluita con il mosto fresco di grillo, che serve anche come starter per la rifermentazione, un colpo di genio enologico che è riuscito a trasportare l’essenza marsalese in catenelle di fini bollicine. Chapeau!
Grappoli del Grillo igt 2012 (grillo 100%): Giuseppina mi versa il vino raccontandomi un aneddoto davvero divertente, durante una serata di degustazione a Samperi, di alcuni bianchi di Borgogna alla cieca, tra cui vari Montrachet, viene nascosto per gioco anche un Grappoli del Grillo di oltre dieci anni di età. Ebbene, nessuno dei presenti si accorse della diversa provenienza del vino che anzi si piazzò nelle primissime posizioni. Questo per sottolineare che è prodotto con grande maestria, uso sapiente del legno, mai invadente, conserva le caratteristiche dell’agrume maturo del grillo, abbinate a una complessità fuori dal comune. Matrimonio ideale tra grassezza data dalla barrique e snellezza sapida marcatore territoriale.
Infine lui, il protagonista, il Vecchio Samperi (grillo 100%, 16,5% vol. alcol), qui i classici descrittori del vino non vengono in aiuto, un sorso coinvolgente, che riporta a fine ‘700, quando al mercante inglese John Woodhouse fu servito in una taverna del porto, dove rimase folgorato da quelle note di miele di castagno, di sigaro, capperi, pasta d’acciughe, catrame, frutta secca tostata, amaretti, liquirizia e decine di altre sensazioni che a ogni sorso cambiano, mai uguali a se stesse. A volte emerge l’alcol, altre il sale, poi l’alga in un tourbillon emozionale che investe i sensi.
Quando penso di essere arrivato al termine, con ancora nel palato la persistenza del Vecchio Samperi, Giuseppina si presenta con un’altra bottiglia marsalese, sull’etichetta c’è scritto Josephine Rouge 2004. Porta il nome della nonna di Marco De Bartoli, di origine francese. Nasce con l’idea di essere un Marsala Rubino (chi è costui? Prodotto pressoché scomparso dal mercato schiacciato dal dominio del Porto) e successivamente declassato a Sicilia IGT per protesta contro il Consorzio. E’ l’ultimo prodotto, non esistono annate successive. L’assaggio è emozionante e si viene invasi da un mix di piacere e rabbia, per non veder realizzate le potenzialità che un territorio del genere avrebbe. Ciliegia candita, cannella, rabarbaro, china, sono le impressioni olfattive. E’ principalmente nero d’avola con aggiunte di pignatello. In bocca ha un ritmo dolce non dolce scandito da una salinità succosa che richiama la gelatina di mirtillo, con un tannino granuloso a cui fa eco il ricordo del cacao al latte. Altro vino magistrale, altra perla dell’agro marsalese di questa grande famiglia di viticoltori.
Pensare che senza Marco De Bartoli, oggi, il Marsala, già sull’orlo del precipizio, sarebbe caduto nell’oblio, utilizzato principalmente come ingrediente della carne in scatola Simmenthal e nei Pan di Spagna imbevuti di liquore. Già una volta questo vino fece innamorare i potenti del mondo, diventando protagonista nei salotti buoni, aspettiamo fiducioso che i riflettori si accendano di nuovo in questo lembo della Sicilia Orientale auspicando una rinascita del Consorzio che valorizzi qualità e artigianalità.
Il genio e l’estro di Marco De Bartoli non si sono fermati soltanto a Marsala ma hanno proseguito anche verso l’isola vulcanica di Pantelleria, ma questa è già un’altra storia……
Valentino Tesi
(febbraio 2023)